mercoledì 26 novembre 2008
Questo giro mi diverto a tirare un calcio nei palloni alle squadre che mi avevano illuso solo pochi giorni fa.
Mi aveva fatto sussultare l’inizio del torneo di Genoa, Napoli e Udinese.
Pensavo fosse una specie di nouvelle vague pallonara che poteva incarnare la mia speranza mai sopita di vedere un campionato vinto da quella che non ti aspetti, da quella che ribalta i piani stabiliti delle cose con l’arguzia con la quale Davide sconfisse Golia. Ho cullato questo stupido sogno perché credo che il calcio che si gioca in campo, in Italia, sia ancora una cosa che vale la pena di essere vista. Lo si è visto da qualche barlume di classe anche in questa giornata che ha consegnato all’anonimato le tre squadre cui è rivolta la mia invettiva. In serie A c’è polpa ed è tanta. Oltretutto la si trova in quantità ancora maggiore ben lontano dalle rose delle big.
Ho cullato questo stupido sogno perché ho visto il gioco delle tre squadre in questione riscontrandone la qualità necessaria a reggere l’urto di qualsiasi avversario. Ho cullato questo stupido sogno perché penso sinceramente (e senza alcun appiglio con la realtà) che nel calcio chi gioca meglio vince (dio che idiota che sono). Penso anche, già che ci sono lo dico, che l’arbitro non conti.
Ho cullato questo stupido sogno, ma sono stato tradito da questa grigia metà di novembre delle tre squadre menzionate. La peggiore? L’Udinese, tradita dalla voglia di sentirsi grande e da un pesante deficit di ossigeno. La banda di Marino, ora come ora, è uno sconclusionato meccanismo che lavora a intermittenza. Quando c’è ossigeno va, quando non c’è cala il nero. Ultime tre partite? Tre ko. Parliamo del Napoli? Parliamone, parliamo pure di quelle amnesie, di quei momenti di tregenda nei quali si infila Conti. Parliamo della scoppola rimediata a Bergamo e dei 4 punti rimediati sui nove disponibili? È indubbiamente una frenata. E il Genoa? L’esame con la grande è stato fallito clamorosamente, per un atteggiamento “da timida provinciale”. All’Olimpico contro la Lazio, poi, le buone cose fatte sono finite nello scarico del wc per un passaggio a vuoto del portiere e, molto probabilmente, per la mancanza di quella sicurezza nei propri mezzi che spesso si trasforma in punti. Sto parlando, naturalmente, della caratteristica delle grandi squadre, le quali vincono anche quando sono distratte, stanche, afflitte.
Niente di pazzesco, niente di trascendentale, niente di non prevedibile se il modo di ragionare è il solito, cioè quello che suggerisce la classifica di questi giorni e la spartizione degli scudetti degli ultimi 20 anni. Il gioco del calcio italiano non ha appeal? Beh, bella forza. Il gioco del calcio in Italia è quel affare (declinato in senso di “business”) che tutti si sbattono come dei pazzi e poi vincono sempre quelle tre: Inter – Juventus e Milan. Quindi è normale che, a un certo punto, quelle simpatiche squadrette tanto carine si facciano da parte e facciano strada. Mai come quest’anno, però, la distribuzione della classe e della qualità di gioco era stata così generosa con le sorelle minori dell’italica pelota.
Eppure al primo refolo di vento, le nostre simpatiche squadrette della nouvelle vague si sono arenate, sono finite sulla spiaggia a pancia in su. Ora ci godremo la solita girandola che poi fa vincere l’Inter perché le avversarie sono anche meglio, ma hanno meno tonnellate di muscoli. Però un calcio nei palloni alle altre, alle invitate alla festa che non ti aspetti, beh, quello mi viene da darlo. Se c’era un anno buono per vincerlo, ‘sto benedetto scudetto, in barba allo status quo, era questo. Ma mi sa che gli scricchiolii sinistri che ho visto e le facce terree di Marino, Reja e Gasperini mi dicono il contrario. (goal.com)
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Argomenti: Editoriale, Serie a 2008/2009