Quickribbon La finale di Champions a Roma senza barriere

martedì 25 novembre 2008

Lo stadio Olimpico sarà rivoluzionato per la Champions: le norme adottate in Italia contrastano con le richieste europee. Del Piero, Ibrahimovic, Totti, ma non solo. Le stelle d’Europa hanno segnato in rosso la data del prossimo 27 maggio, Roma, stadio Olimpico, atto finale della Champions League sognando di banchettare all’ombra della coppa dalle grandi orecchie. Ma, in rosso, sono sottolineate anche le richieste del palazzo europeo del pallone che mettono per la prima volta il calcio italiano davanti a risposte concrete. L’Olimpico è sotto osservazione da tempo, esame sempre più invasivo e, finora, sempre superato a pieni voti per stessa ammissione del gran capo dell’Uefa, Michel Platini. «Complimenti, quando giocavo io questo era un altro stadio... ora è bellissimo e pronto ad ospitare una finale di Champions League», così «le Roi» solo due settimane fa affacciandosi sul prato dell’impianto romano del Coni. Tutto in ordine e via al conto alla rovescia, dunque? Sì, non fosse per un particolare che altrove viene vissuto come tale, ma che una volta dentro il nostro confine ha l’effetto di aprire dibattiti infiniti.
L’Uefa ha indicato la rotta, l’Italia deve adeguarsi. La finale del 27 maggio, così è scritto nella lista di cose da fare presentata da Platini, dovrà disputarsi senza barriere fra tifosi, ovvero cancellando dagli spalti le installazioni che dividono le due tifoserie o i settori dello stadio. Così è stato negli impianti dove la Champions ha vissuto il suo ultimo passaggio (ad Atene il Milan trionfò in uno stadio senza divisioni, settori che, una volta consacrata la finale, rispuntarono), così è previsto per Roma 2009 ma, così, non è stato ancora definito per la notte capitolina.

Giocare una partita di calcio senza barriere è una rivoluzione culturale prima che sportiva. In Italia immaginare uno stadio praticamente libero da qualsiasi tipo di parapetto è un esercizio ancora poco concreto se non fosse per l’esperimento di Udine e il traguardo fissato nella nuova casa della Juventus a partire dal 2011. Come rispondere alle sollecitazioni dell’Uefa? Le riflessioni sono ancora aperte e quasi sussurrate, perché la finale è lontana e c’è un decreto ministeriale del ‘96 coordinato con le modifiche introdotte il 6 giugno 2005 che indica in tre articoli come deve presentarsi uno stadio italiano nel momento di organizzare una partita.

Le norme da noi adottate entrano in rotta di collisione con quanto richiesto dall’Uefa perché, si legge, «...fra i settori devono essere permanentemente realizzati sistemi di separazione idonei a impedire che i sostenitori delle due compagini vengano a contatto fra loro...». Un decreto dove si fa distinzione fra tifosi di casa e ospiti, un passaggio che l’Uefa non contempla in casi come quello che si presenterà il giorno della finale di maggio perché, a Roma, per il massimo organismo europeo del pallone si giocherà uno spettacolo sotto gli occhi del mondo in un impianto «d’élite».

Del Piero, Ibrahimovic e Totti sognano la gloria in finale. L’Italia, presto, si troverà di fronte ad una richiesta dalla quale non potrà sfuggire e che contribuirà, suo malgrado, ad accelerare o frenare il processo di trasformazione culturale del nostro Paese. Le barriere da togliere sono quelle fra i settori dello stadio, non quelle fra il campo e le tribune, perché là c’è il fossato. L’Uefa aspetta di capire se, e come, il pallone italiano valuterà le sue direttive.

(La Stampa)

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