venerdì 28 novembre 2008
Otto dicembre 1985. La Juventus si aggiudica la Coppa Intercontinentale contro gli argentini dell’Argentinos Juniors, ma l’uomo copertina è un ragazzotto di 21 anni che con le sue giocate almeno per una notte era riuscito ad oscurare la stella di Michel Platini. Silvio Berlusconi se ne innamorò e nell’estate del 1987 lo portò a Milano. Un Milan, però, che aveva già in rosa Marco Van Basten e Ruud Gullit e per l’indio dalla faccia triste non c’era spazio. A malincuore Berlusconi lo parcheggiò al Como, in attesa che il numero degli stranieri tesserabili salisse a tre. Il fantasista argentino soffrì problemi di ambientamento e in riva al lago faticò ad emergere. Senza contare che Arrigo Sacchi non lo vedeva proprio e aveva in mente il solo Frank Rijkaard, per formare un trio olandese che avrebbe vinto tutto. Il tecnico entrò persino in rotta di collisione con il suo presidente, ma alla fine la spuntò. E per Borghi l’avventura italiana terminò dopo solo una stagione. “Quello che non sopportavo di Sacchi era che costringeva i giocatori a correre più veloci della palla” ha detto in una recente intervista. E non era il solo: chiedere a Marco Van Basten.
Che fine ha fatto?
Deluso dall’esperienza milanista, Borghi decise di trasferirsi in Svizzera, al Neuchatel. Una breve parentesi prima del ritorno in patria e l’inizio di un lungo girovagare. River Plate, Flamengo (con Zico) e Independiente le squadre più prestigiose dove ha giocato, prima di chiudere nel 1999 la sua carriera in Cile nei Santiago Wanderers. Borghi è rimasto nel calcio, prima come procuratore, mentre ora è uno dei tecnici più promettenti del Sudamerica. Iniziata la carriera nel 2002/03 con l’Audax Italiano, nel 2006 alla guida del Colo Colo si è aggiudicato il campionato cileno di Apertura e Clausura ed è stato finalista nella Coppa Sudamericana. Un exploit che gli è valso il titolo di miglior allenatore dell’anno. Scherzo del destino, l’ex giocatore del Milan predilige un gioco offensivo, alla Arrigo Sacchi. Il tecnico tanto detestato che gli ha impedito di giocare nel Milan.
Aveva detto
Così a Sacchi: “Che senso ha correre per chilometri, se il campo è lungo cento metri?”. (Corriere della Sera)
Hanno detto di lui
Michel Platini (Juventus 1985/86): “E’ il Picasso del calcio”.
Dopo la finale Intercontinentale 1985
Fernando Redondo (Argentinos Junior 1985/86): “Il pallone per lui era la naturale appendice delle gambe”. (Corriere della sera)
(goal.com)
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Argomenti: notizie generali
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